
Pane, family e filmaking
J: Siamo nati nello stesso anno, 1982.
Pur abitando nella stessa città, nello stesso quartiere, ci siamo conosciuti solo all’alba dei nostri 29 anni. Prima lei viaggiava per il mondo, io suonavo in garage.
Ci siamo conosciuti per organizzare una serenata ad amici in comune che si sposavano. Quella fu la nostra prima missione. Non è mai successo che siamo andati a vivere insieme, è successo che mi sono fermato a dormire da lei e non sono più tornato a casa mia.
G: È successo che quando arriva quello giusto all’improvviso smetti di risolvere i problemi di coppia e cominci a crescere e trovare ciò che sei. È successo che il primo bacio non arrivava mai e mi chiedevo perché lo desiderassi proprio da lui. È successo che si parlava fino all’alba di ideali, di vita e di conserve.
È successo che abbiamo iniziato a lavorare insieme come filmaker, ai tempi delle prime edizioni del Torino Jazz Festival. È successo che non era male e siamo diventati qualche anno più tardi un collettivo creativo, con tanto di pinne e lanterna, Lightfish Studio.
Un giorno abbiamo dato una festa. Una festa grande. Tre giorni nei boschi con un centinaio di invitati. Falò, tende e musica dal vivo. Una gonna bianca e un ascot, gli anelli dei nonni. Un rito d’amore in un cerchio di amici e ci siamo sposati.
Poi una nuova casa, poi la prima pancia, Indigo, nel 2017. Continuiamo a crescere fianco a fianco in tre quando arriva un’altra pancia. Blu, nel 2020.
J: Di solito quando le persone capiscono che io e Gessica lavoriamo insieme, dopo qualche secondo di smorfie alla Jim Carrey, ci chiedono:
“Ma come fate? Io proprio non ce la farei!”
Lei ama rispondere parlando la lingua delle stelle.“Acqua e terra. Io sono pesci, ascendente toro, lui vergine ascendente cancro. Siamo complementari, dove non arrivo io arriva lui e viceversa”.
Io con tutta l’ironia che mi contraddistingue “Per prendere ordini da un capo e litigare coi colleghi tanto vale che lo faccia con mia moglie, almeno la sera a cena non ha neanche bisogno di sapere com’è andata a lavoro nè come mai sono di pessimo umore!”
G: Mi piace lavorare con Josè, che mi sentirete spesso chiamare Josich, perché riusciamo a capirci senza parlare, come se godessimo di una sorta di telepatia, siamo fluidi negli spazi, nei tempi. Non mi capita spesso con altri operatori video. In generale lui risolve tutto, io incasino tutto. Ma di solito sul set non si percepisce. Non ci piace il conflitto, non riusciamo a stare nella tensione, a casa come nel lavoro.
J: Lei fa il capo, io faccio il resto. Gli ingredienti arrivano da entrambi, ma lei è più brava a dosarli, io a curare i dettagli finali. Essere in squadra con lei per me a volte è un sollievo: non amo decidere, espormi, lei è l’intraprendente che vuole volare, e io cerco di non farle cambiare pianeta.
G: Lavorare insieme ed essere una famiglia insomma ha anche dei lati positivi, ci ha permesso di immaginare Videoconserve, di entrare nelle famiglie in punta di piedi e mostrare loro la bellezza che a volte nella quotidianità non sembra essere così poetica.