Perché una videoconserva

Giugno 2020.

Sono incinta da 32 settimane.

A due anni e mezzo dal primo parto, cesareo d’urgenza, desidero vivere l’esperienza di un parto fisiologico. La mia ostetrica, per avere un quadro generale completo, mi raccomanda di chiedere a mia mamma tutto quello che si ricorda di quel magico momento in cui sono venuta alla luce. Preparo con emozione una tisana alla malva, anche lei sarà testimone di questa emozione, di questo crocevia temporale:

“Erano le cinque quando ho svegliato tuo papà per andare in ospedale. Ci volevano rimandare a casa, ma io mi sentivo che stavi arrivando. Alle 9 e venti del mattino sei nata.”

La tisana fumante si fa una risata.

Guardavo mia mamma in quella foto che avevo tra le mani, con i classici Moon Boot anni ‘80, con la pelliccia regalata dalla suocera che non ha mai amato tanto, sdrammatizzata con una bella camicia a quadrettoni rossi, in mezzo alla neve, che sorride. Con lei il mio cane d’infanzia. Se solo avessi potuto parlare con quella donna di 38 anni fa, chissà che effetto mi avrebbe fatto ascoltarla.

Osservare il suo timbro di voce, la sua visione della vita, scorgere la sua timidezza, il suo entusiasmo, ma non si può viaggiare nel tempo, ancora non lo possiamo fare.

E così penso a quanto sarebbe prezioso per me avere quella testimonianza. Quanto lo sarebbe per i miei figli. E per i vostri? Sequenze di vita quotidiana, commenti di genitori, nonni, animali domestici, amici, vicini di casa, chiunque compaia in quel ritratto familiare che accompagna l’arrivo di un bambino al proprio nido.

Josè ascoltava il mio flusso di coscienza.

Gli dico: “Amore, perché non produciamo film per le famiglie?”

Josè mi guarda illuminato.

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